LA NOSTRA PICCOLA BARCA
di Maria Pia Rossignaud

Eravamo tre giovani proiettati verso il futuro con tanta voglia di arrivare lontano, senza strappare le nostre radici, ma con la volontà di non diventarne prigionieri.
Cosa ricordo di Giancarlo? Il suo sorriso ironico e, prima, le nostre battaglie a flipper quando meno che adolescenti ci siamo incontrati a Vico Equense, paese crocevia delle nostre vite. Perché? Perché da sorella maggiore preoccupata delle pene d’amore di Daniela, sorella minore, riportai Giancarlo nella sua vita. La scusa fu banale: esame da pubblicista documenti e prassi da conoscere e condividere. “Dani ti lascio questo plico per Giancarlo, lo ricordi certamente. Passavamo le estati a giocare a flipper. Ora insieme cerchiamo di diventare giornalisti”.
Il giornalismo ci aveva, infatti, riunito per le tappe obbligate da superare per arrivare all’agognato tesserino. Allora la vita è bella. Siamo giovani speranzosi avidi di vita e felicità che significa, anche, la nostra piccola barca, di Daniela e mia. Uniche donne a sfrecciare sole nello specchio d’acqua che da Vico Equense porta alla baia di Jeranto, non ancora riserva naturale.
La barca diventa, poi, il loro rifugio sicuro perché irraggiungibile via telefono. Siamo negli anni 80, niente telefonini. Giancarlo rideva: “Se telefonano dal giornale sai dove trovarmi”. Lui aspirante cronista, in una provincia difficile, era soggetto a continue chiamate alle armi e così con Daniela scappava laddove non era possibile arrivare per godersi, almeno, una mattina di libertà. Ora sono sola, la storia è storia. La Mehari verde, spruzzata di un rosso che nessuno avrebbe mai voluto vedere, è l’immagine della fine senza un nuovo inizio.
Adesso che anche Daniela non c’è più, posso solo ricordare la barca e quei due che correvano via ed io che pregavo: “Vengo anch’io?” e loro: “No tu no”. E con due facce sorridenti e un po’ beffarse ripetevano: “Devi rimanere…. se chiamano dal giornale qualcuno deve pur rispondere”.

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